- LA PROFESSIONE DELL'ARCHITETTO OGGI

Il domandare oggi è importante perché aiuta a costruire una via che è quella del pensiero e tutte queste vie ci conducono a muoverci attraverso il linguaggio e le “definizioni” delle cose e sull’esatta natura del loro significato.

Mi viene chiesto: - Chi è l’architetto? Che cosa fa l’architetto? Ancora oggi il termine “architetto” non è conosciuto, non capito, confuso, disagio questo non riscontrato esclusivamente da me, ma anche da altri colleghi.
Oggi il termine “architetto” è da noi utilizzato semplicemente per indicare il professionista che elabora progetti per la costruzione o il restauro degli edifici.
Esso è di origine greca, ed è giunto a noi nella nostra lingua attraverso la mediazione del latino. Si tratta di una parola composta, derivante cioè dalla funzione di due altri sostantivi. Il primo è “archè”, termine di nobile tradizione filosofica indicante il “principio” o “l’origine” delle cose “origine della terra”, il secondo è (téktuu = téktòn) che indica l’artista, l’artefice, l’autore. L’architetto è colui che allestisce la trama, organizza costruzioni, affinché in esse sia reso “l’inizio”, la “nostra origine”, si configuri “l’archè”.

Ma tralasciando l’aspetto filosofico e entrando nella nostra realtà di oggi, bisogna stabilire il perseguimento della qualità negli interventi di trasformazione del territorio e del paesaggio, è rilevante in tutto questo il ruolo della Committenza Pubblica, innanzi tutto, ma anche di quella privata, e non meno lo è quello del progettista, sul quale anche va pertanto spesa qualche parola.
Innanzi tutto ricordiamoci che esiste una Direttiva dell’Unione Europea, la 384/85, che definisce i requisiti minimi dei soggetti abilitati alla progettazione di qualunque trasformazione ambientale.
Quali sono questi requisiti? Un corso di studi universitari quinquennale, una specifica preparazione con corsi biennali in storia dell’architettura come in composizione architettonica ed, infine, in urbanistica. In Italia questi requisiti culturali minimi attualmente appartengono solo alla formazione degli architetti.
Se però noi guardiamo con sgomento le migliaia di metri cubi costruiti nella nostra città dalla fine del conflitto mondiale, le migliaia di ettari urbanizzati, le nostre campagne dequalificate o le squallide periferie urbane, dobbiamo essere consapevoli che ciò si è potuto realizzare certamente con regole e politiche territoriali inadeguate, ma dobbiamo anche riconoscere che una causa non rilevante del degrado e dell’assenza di qualità architettonica risiede nel ricorso sistematico, per oltre l’85% dell’edificato, a progettazioni fornite da professionalità prive dei requisiti minimi previsti dalla UE. Sappiamo infatti che dei molti edifici complessi e dei piani regolatori che hanno la patente di ingegneri elettronici, quando non chimici, ed ancora delle intere periferie urbane fatte di modeste costruzioni, in base ad una legge avallante la competenza del geometra per progettare appunto modeste costruzioni con risultato che è un eufemismo definire solo modesto.
Ciò ha indubbiamente concorso a dequalificare il paesaggio, ma costituisce anche uno spreco di risorse intellettuali, perché invece l’uso appropriato e pertinente delle competenze del geometra e dei saperi dell’ingegneria sarebbe utilissimi alla qualità delle opere, purché coordinati progettualmente da chi ha almeno la competenza specifica prevista dalla disattesa Direttiva 384.

E’ importante, perseguire l’obiettivo di salvaguardare e recuperare i valori delle peculiarità del nostro paesaggio della nostra città. La qualità urbana influenza i comportamenti sociali e individuali, i luoghi di confronto e di incontro sono quasi scomparsi nella nostra città “moderna”, la stessa terminologia per definire gli edifici che costituiscono emergenze architettoniche, è mutata: il Municipio, il tribunale, il palazzo della provincia, non sono più chiamati monumenti, ma servizi e infrastrutture, quasi a volerli sottrarre ad un giudizio di qualità architettonica, per lasciarli alla sola valutazione di utilità urbanistica. L. B. Albeti sosteneva che la bellezza degli edifici ha un valore civico e costituisce perfino nei confronti dei barbari un deterrente al compimento di atti vandalici.
Deterrente che non ha funzionato per la scadente produzione di un architettura di massa che costituisce la periferia, e non solo, delle nostre città in cui viviamo e vedere nei monumenti esistenti un vincolo fastidioso, non solo perché impedimento alla loro sostituzione, ma perché costituiscono un’inquietante presenza, che costringe al confronto con la qualità possibile, la serietà professionale, l’impegno civile verso la città e la collettività.
Ma oggi la cultura dell’effimero ha contaminato profondamente l’architettura. Gli edifici del passato volevano durare in eterno perché dovevano, secondo gli artefici, committenti, progettisti, costruttori, trasmettere testimonianza del loro essere stati.
Oggi il potere non vuole o non è interessato a questa rappresentazione; le moderne democrazie occidentali non si servono più di questo tipo di immagine, hanno altri, nuovi, diversi strumenti destinati ad un rapido consumo.
Molti libri di storia dell’arte hanno suddiviso in capitoli distinti la storia delle arti figurative: architettura scultura e pittura. L’architettura era considerata un’arte e nessuno ne dubitava. Oggi, a differenza della pittura e della scultura, non ci si aspetta più che lo sia. Che l’architettura sia un prodotto artistico,non solo non è richiesto, ma è perfino temuto, perché la costruzione della città dovrebbe in tal caso confrontarsi con un parametro che non è commensurabile economicamente, che potrebbe produrre devianze, non solo al mercato immobiliare, ma ai codici di comportamento regolati dalle norme edili. E’ necessario che l’architettura ritorni ad essere una risorsa per questa nostra città, ma è anche necessario che vada avanti, non deve seguire, non deve rincorrere non deve scendere a compromessi, ma deve anticipare, lo sviluppo.
Giuseppe Briguglio
Architetto
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- PROGETTARE FENG SHUI

PRINCIPI DI BASE DI UN PROGETTO FENG SHUI
Feng Shui (vento e acqua) è l’arte cinese, antica di oltre 3000 anni, che insegna come armonizzare lo spazio in cui viviamo; a dialogare con l’ambiente; a trarre energia e beneficio dallo spazio attorno a noi। Il Feng Shui può a ragione venire definito, quindi, come "ambiente-terapia": la terapia per curare lo spirito e il corpo, imparando a trarre la naturale benefica energia dai luoghi nei quali viviamo o lavoriamo.
A tutti sarà capitato almeno una volta di entrare in una casa e uscirne confuso, distratto, stanco, mentre altre volte di rimanere intere ore in un ambiente e trarne invece giovamento.
Il feng shui è proprio quella pratica che insegna e spiega i motivi per i quali in alcuni ambienti ci sentiamo bene e in altri no, e svela i rimedi segreti per trarre il massimo benessere dall’ambiente in cui viviamo e lavoriamo, curando i luoghi "malati".

Il Ch'i
E’ l’energia vitale, il soffio vitale, il principio olistico in assoluto. Il ch’ì è l’energia che porta benessere e vita in casa nostra e per questo deve aver la possibilità di entrare agevolmente dalle vie d’accesso, quindi porte e finestre. Una volta entrato deve però essere facilitato nel suo scorrere in tutta la casa, in tutte le stanze.
Il ch’ì reagisce esattamente come noi. Quando il nostro corpo fisico è impedito nei movimenti (quando, ad esempio, facciamo fatica ad aprire una porta perché magari dietro c’è un ammasso di cianfrusaglie accatastate o quando inciampiamo su oggetti o ci facciamo male sugli spigoli) allora anche il ch’ì non scorre bene.
E’ importante farsi costantemente questa domanda per entrare in profonda relazione con l’energia della nostra casa e rispondersi, però, sinceramente: in questa casa, in questa stanza ci sto bene oppure mi sento a disagio, fuoriluogo? Dormo bene o mi sveglio stanco? Se state bene in casa vostra significa che si respira un buon ch’ì; se invece non state bene allora il ch’ì è malato e deve essere curato. Il ch’ì “malato” viene chiamato Sha Ch’ì. E si cura con i rimedi feng shui, ma talvolta anche solo con il buon senso e l’intuito. E’ importante recuperare fiducia in se stessi e ascoltarsi di più. Il feng shui insegna l’indipendenza e la libertà dagli schemi e dai dogmi. Certo, regala consigli utili per imparare a percepire l’energia e a risistemarla ma se un rimedio feng shui funziona, funzionerà certamente cento volte in più se lo mettiamo in essere con gioia e serenità. Ricordiamoci che la nostra casa rappresenta il nostro corpo più grande e ci nutre d’energia ma respira anche della nostra energia.
I Numeri dello Shu
Secondo l’antica pratica del Feng Shui ogni zona della nostra abitazione corrisponde ad un aspetto della nostra vita. Per determinare e individuare quali zone corrispondono a quali aspetti la Scuola Intuitiva utilizza il "Bagua": una griglia geomantica che si rifà ai principi dell’I Ching e al quadrato Lo Shu.
Posizionandola sulla planimetria della casa, partendo dall’ingresso, si individuano quindi i cosiddetti "Gua": nove in tutto (vedi pianta del Bagua).
Prima di posizionare il bagua sulla nostra planimetria è bene farsi alcune domande. Anzitutto cosa vogliamo ottenere, quali benefici, dal feng shui e perché vogliamo ottenere qualcosa. Poi ci si dovrebbe fare una serie di domande per aver ben chiaro cosa e dove dobbiamo operare (es: sono soddisfatto del rapporto con il mio partner; cosa voglio cambiare nella mia vita; faccio fatica a realizzare i miei progetti; che rapporto ho con i miei familiari e con gli amici……). Poi si guarda il gua di riferimento per quanto concerne l’aspetto debole della nostra vita che vogliamo rafforzare e lì andiamo ad operare e a curare con un rimedio feng shui.
Gli Otto Trigrammi
CARRIERA
Per "Carriera" s’intende qualcosa di più del mero successo professionale. Ogni persona, infatti, è unica ed è dotata di uniche capacità (non è importante quello che uno fa, ma se lo fa con dedizione e passione). Questo gua indica l'inizio di ogni cosa, di progetti, di attività, di iniziative.
AIUTI – AMICI
Il Gua in questione indica gli amici soccorrevoli, i buoni consigli, le "coincidenze" opportune, le conoscenze "casuali", ma che portano consigli e suggerimenti buoni e utili, i collaboratori validi, i clienti, le occasioni buone al momento giusto.STUDIO-CONOSCENZA
Questa zona della casa corrisponde all’aspetto della contemplazione, della conoscenza e della consapevolezza di sé. Riguarda, quindi, prettamente il rapporto di noi con il nostro Sé e soprattutto con la spiritualità.
CREATIVITA’
Questa zona è correlata alla creatività e all’intelletto. Alla capacità di creare situazioni della vita e del lavoro sempre nuove ed uniche, senza incorrere in errori ricorrenti.

FAMIGLIA-SALUTE
Riprende il rapporto con i genitori, i nonni…Chi ha vissuto, quindi, prima di noi (i nostri avi biologici). Non è da intendersi, quindi, unicamente in riferimento alla "famiglia" che vi abita, ma ai legami con i nostri familiari. Questo Gua, inoltre, fa riferimento al rapporto che si ha con i superiori o coloro che prima ricoprivano il nostro impiego professionale e con l'autorità in generale.
RELAZIONI – AFFETTI
Questo Gua è correlato direttamente alla parte affettiva ed emozionale. Fa riferimento, quindi, al rapporto specialmente con il partner. E’ il Gua definitivo dell’Amore.

RICCHEZZA
Fa riferimento al denaro, ma anche alla nostra ricchezza interiore e al rapporto con il denaro. Ricchezza il più delle volte non significa "avere molti soldi", ma gestirli bene.
Fअम E’ la zona correlata alle nostre soddisfazioni personali, ai meriti ricevuti, alla stima e alla considerazione che gli altri hanno di noi, ma soprattutto al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Rimedi del Feng Shui
I rimedi feng shui servono essenzialmente a tre cose:riequilibrare le energie in casariportare in gioco un gua mancanterafforzare un gua per rafforzare un aspetto della nostra vita che sentiamo debole (vedi significato di gua nel Bagua).
Giuseppe Briguglio
Architetto
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- L’ARCHITETTURA COME CULTURA DELL'EFFIMERO

“Quando non si conosce è opportuno, oltre che norma di legge, conservare … almeno per trasmettere alle generazioni future questo grande patrimonio culturale.”
Una frase che ha un certo spessore. Una frase rivolta ai nostri politici, ma soprattutto ai nostri cittadini, è assolutamente necessario che si rinnovi una pubblica morale. Bisogna combattere questa cultura perpetrata all’insegna degli interessi degli speculatori, non possono che nascere che guai e non basta a scongiurarli nemmeno una norma scritta, perché non ci sono tribunali, né aule giudiziarie sufficienti per l’enorme addensarsi di abusi e delle negazioni degli ordinamenti.
In definitiva serve conoscere l’arte del proprio paese, perché è l’arte che ha costruito le città, le città sono ambiente dell’esistenza, si sa che il rapporto positivo o negativo con l’ambiente decide della sanità fisica, psichica e morale degli individui come è risultato dalle classifiche nazionali pubblicate sui giornali nazionali e locali sulla qualità della vita, dove dove molte città del sud sono risultate agli ultimi posti.
Delle nostre città noi ne facciamo un pessimo uso: l’ambiente si inquina e si degrada, il patrimonio culturale si deteriora e si disperde, colpa dell’ignoranza del loro valore. Ma i cittadini che sono i titolari e i responsabili di quei fattori vitali prima ancora che culturali, debbono imparare a conoscerli e a difenderli, a far sentire la propria voce, a difendere l’arte, l’archeologia e quindi il proprio passato.
L’arte del passato non è un problema del passato ma del presente, difendere le proprie origini la memoria storica è come difendere se stessi da tutto ciò che non si conosce ma che aiuta a vivere. Essere moderni non significa rinunciare ad essere intelligenti e responsabili della cosa pubblica.
In definitiva cosa dobbiamo cercare di realizzare a vantaggio dello straordinario patrimonio presente nel nostro centro storico? Un controllo degli interventi, è rilevante in tutto questo il ruolo della Committenza Pubblica, innanzi tutto, ma anche di quella privata, e non meno lo è quello del progettista, sul quale anche va pertanto spesa qualche parola. Innanzi tutto ricordiamoci che esiste una Direttiva dell’Unione Europea, la 384/85, che definisce i requisiti minimi dei soggetti abilitati alla progettazione di qualunque trasformazione ambientale.
Se però noi guardiamo con sgomento alle migliaia di metri cubi costruiti nella nostra città dalla fine del conflitto mondiale, alle migliaia di ettari urbanizzati, delle nostre campagne dequalificate o delle squallide periferie urbane, dobbiamo essere consapevoli che ciò si è potuto realizzare certamente con regole e politiche territoriali inadeguate, ma dobbiamo anche riconoscere che una causa non rilevante del degrado e dell’assenza di qualità architettonica risiede nel ricorso sistematico, per oltre l’85% dell’edificato, a progettazioni fornite da professionalità prive dei requisiti minimi previsti dalla UE. Sappiamo, infatti, che dei molti edifici, complessi e piani regolatori, hanno la patente di ingegneri elettronici, quando non chimici, ed ancora delle intere periferie urbane fatte di modeste costruzioni, in base ad una legge avallante la competenza del geometra per progettare appunto modeste costruzioni con risultato che è un eufemismo definire solo modesto.
Ciò ha indubbiamente concorso a dequalificare il paesaggio, ma costituisce anche uno spreco di risorse intellettuali, perché invece l’uso appropriato e pertinente delle competenze del geometra e dei saperi dell’ingegneria sarebbe utilissimi alla qualità delle opere, purché coordinati progettualmente da chi ha almeno la competenza specifica prevista dalla disattesa Direttiva 384.
E’ importante, perseguire l’obiettivo di salvaguardare e recuperare i valori delle peculiarità del nostro paesaggio della nostra città. La qualità urbana influenza i comportamenti sociali e individuali, i luoghi di confronto e di incontro sono quasi scomparsi nella nostra città “moderna”, la stessa terminologia per definire gli edifici che costituiscono emergenze architettoniche, è mutata: il Municipio, il tribunale, il palazzo della provincia, non sono più chiamati monumenti, ma servizi e infrastrutture, quasi a volerli sottrarre ad un giudizio di qualità architettonica, per lasciarli alla sola valutazione di utilità urbanistica. L. B. Albeti sosteneva che la bellezza degli edifici ha un valore civico e costituisce perfino nei confronti dei barbari un deterrente al compimento di atti vandalici.
Deterrente che non ha funzionato per la scadente produzione di un architettura di massa che costituisce la periferia, e non solo, della nostra città in cui viviamo e vedere nei monumenti esistenti un vincolo fastidioso, non solo perché impedimento alla loro sostituzione, ma perché costituiscono un’inquietante presenza, che costringe al confronto con la qualità possibile, la serietà professionale, l’impegno civile verso la città e la collettività.
Ma oggi la cultura dell’effimero ha contaminato profondamente l’architettura. Gli edifici del passato volevano durare in eterno perché dovevano, secondo gli artefici, committenti, progettisti, costruttori, trasmettere testimonianza del loro essere stati.
Oggi il potere non vuole o non è interessato a questa rappresentazione; le moderne democrazie occidentali non si servono più di questo tipo di immagine, hanno altri, nuovi, diversi strumenti destinati ad un rapido consumo.
Molti libri di storia dell’arte hanno suddiviso in capitoli distinti la storia delle arti figurative: architettura scultura e pittura. L’architettura era considerata un’arte e nessuno ne dubitava. Oggi, a differenza della pittura e della scultura, non ci si aspetta più che lo sia. Che l’architettura sia un prodotto artistico, non solo non è richiesto, ma è perfino temuto, perché la costruzione della città dovrebbe in tal caso confrontarsi con un parametro che non è commensurabile economicamente, che potrebbe produrre devianze, non solo al mercato immobiliare, ma ai codici di comportamento regolati dalle norme edili. E’ necessario che l’architettura ritorni ad essere una risorsa per questa nostra città, ma è anche necessario che vada avanti, non deve seguire, non deve rincorrere non deve scendere a compromessi, ma deve anticipare, lo sviluppo.
Giuseppe Briguglio
Architetto
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GLI ARCHITETTI CHIEDONO "....un sussulto civile delle coscienze di questo Paese...."

I temi della dialettica che hanno accompagnato ed accompagnano il grosso problema dell’intervento architettonico nelle nostre città e le ragioni pro e contro e cosa dovrebbe essere tenuto presente.
Mi chiedo e vi chiedo, se l’architetto, professionalmente, ha degli obblighi, oltre che morali, diciamo pure legali, giuridici, verso il suo prossimo?
Continuo a chiedermi se l’edilizia che si fa è repressiva, è contraria all’interesse umano, è diseducatrice, se separa gli uomini invece che rendere loro possibile la convivenza, se ancora di più e peggio, esclude il colloquio con la natura, se si distrugge il verde, se il verde è visto come sfogo e non come bisogno assoluto, fondamentale elemento di vita.Questi argomenti definiscono, secondo il mio parere, il fondamento del fare architettura, restando legati però a ciò che ci sta intorno e che costituisce la scena della nostra vita quotidiana e che va esteso dal centro storico alla periferia della nostra città, argomenti dello stesso problema.Quindi, più che di fatti e informazioni di risultati raggiunti, il mio dire punterà sulla capacità, o volontà di sentire e comprendere vivamente certi valori come il bene e il bello, avere coscienza di cosa sentono gli altri per poter avere rapporti reali con essi, avere una coscienza della vita associata in tutti i suoi aspetti, anche sentimentali, che riguardano le illusioni ed il dolore, a che cosa fa capo tutto questo? Ad un concetto importante per tutto il nostro dibattito del fare architettura, in quanto oggi l’architettura è intesa soltanto come una vicenda razionale, trascurando altro polo della psiche, che è l’inconscio, l’irrazionale, quella condizione dello spirito da cui vengono fuori la poesia, l’arte, l’architettura. Da un lato, dunque, la cognizione razionale e dall’altro il polo irrazionale, fantastico. Ma i due poli convivono; non possiamo richiamare uno ignorando l’altro. Essi sono presenti nello stesso discorso nello stesso linguaggio.Ma nella nostra realtà si favorisce uno soltanto dei due poli, ne viene fuori una struttura, che pretende di avere una moralità, nel senso di rispecchiare i bisogni dell’uomo, mentre non li rispecchia per niente; esagera soltanto l’utilizzazione di strumenti moderni, che sono alla portata ormai di tutti. E’ certamente un vantaggio poter fare la doccia, il bagno, telefonare; ma dal punto di vista della vita psichica, dal punto di vista dei due poli, l’architettura che abbiamo è un colossale fallimento.Si è sacrificato l’altro polo, quello della fantasia, quello che una volta era l’ornato. Ma “l’ornamento è un delitto”. Di qui l’abolizione dell’ornamento in funzione della razionalità; dei bisogni umani e del reddito, ma da noi in Italia, nelle nostre province nei nostri comuni, si è andati ancora più affondo in quanto si vive questa condizione negativa con abitudine e rassegnazione.Il rapporto tra razionalità e fantasia, di questi due poli della psiche, che fanno parte della ragione e dell’immaginazione; l’immaginazione è il fondamento dell’arte, della creatività, della fantasia, si lega al fascino dei centri storici i quali sono fatti principalmente di fantasia. Quando Platone dice: “Chi non ha follia di muse è inutile che si accosti al tempio dell’arte, della poesia”, ci dice di avere quella libertà fantastica quell’attributo che è fondamentale sull’intuizione, sul sogno, sulle immagini.Un altro concetto fondamentale, nel discorso che sto facendo, attiene all’arte della memoria, memoria intesa anche come centro storico, si è dimostrato che la memoria non poteva essere affidata a formule, in quanto difficilmente memorabili, mentre l’immagine è facilmente memorabile. La cultura di un architetto greco, ad esempio era definita dalle immagini dei tempi precedenti e si giovava di un formulario aritmetico, di un rapporto di proporzioni. Non è che circolassero disegni e grafici particolari.Da ciò parto nel affermare che noi abbiamo il diritto-dovere di difendere il mondo della memoria che è rappresentato certamente da un testo di Platone ma si manifestano anche nelle pietre, nel colore di un affresco di una casa del centro storico di ogni nostro comune, case vecchie, si, ma che conservano memoria di sé, esattamente come ne ha bisogno l’uomo. La nostra città in quanto tale, in quanto civitas, in quanto organizzazione e stratificazione di vita associata, altrettanto non può rinunziare alla sua memoria. Viviamo in una città, nella quale, malgrado i massacri passati, presenti, e purtroppo, prossimi futuri, questa stratificazione è malgrado tutto, ancora viva e presente e, quindi esige la nostra riflessione e amorosa partecipazione.Il valore di ciò che ci sta intorno e che costituisce la scena della nostra vita quotidiana non consiste soltanto nell’importanza dell’insigne chiesa, oppure di un insigne castello, ma è invece, qualche cosa di diverso, dalla eccezione del monumentale, che indubbiamente è oggetto delle nostre più attente cure. Parlo di tanta edificazione, che esiste nelle nostre periferie. Vorrei insistere soltanto nel farvi notare i particolari di queste costruzioni, sono strutture in reticolato di cemento, che investono tutta una facciata, aggetti inconsulti di balconi continui, oppure serie di balconi, facciate incomplete ancora con i mattoni di tamponamento, colori diversi che nascono da idee strane, etc. Sono questi gli standard più correnti dell’edilizia delle nostre periferie
Qual è la conseguenza di tutto ciò, dal punto di vista, della sensibilità del godimento dell’atmosfera e della vivibilità e dell’ambiente? Né più e né meno che una perdita. Perché le suddette case nascono per una semplice ragione, che evita qualsiasi sfogo fantastico, velleitario, inutile, di fronte a una visione veramente, rigorosamente precisa dei bisogni umani e del reddito.Ma nello stesso tempo voglio legare il centro storico con le periferie in quanto come dicevo prima sono argomenti dello stesso problema dove la soluzione sta nel risultato di una corretta riqualificazione, che ha una sua civiltà ha una sua qualificazione anche estetica, direi generale, diffusa, è precisamente dei valori ambientali. Ormai l’ambiente è diventata un argomento di dominio comune, dal momento che la situazione ambientale è diventata peggiore, a causa dell’incremento, incontrollato e gigantesco, dello standard meccanicistico. Quindi, non possiamo rassegnarci al fatto che la qualità del prodotto deve essere quella attuale e considerare le bruttezze come una specie di dovere sociale. Invece no; dobbiamo realizzare un equilibrio.Nei centri storici dei nostri Comuni con gli indirizzi del PRG si parla di riuso e di riqualificazione, inteso però come sfruttando al massimo dei volumi abitabili e, quindi, creando condizioni che, se sono vantaggiose per il reddito, non lo sono affatto né per i valori storici-artistici, né per la convivenza umana e ambientaleAllora, la proposta potrebbe essere, sì al riuso del centro storico, con il “mantenimento verticale”, che non si tratta di ricomporre aspetti antichi, privilegiando una certa epoca rispetto ad un’altra. Così come ci hanno insegnato all’università, in quanto è assolutamente contrario all’interpretazione sia delle esigenze estetiche sia di quelle storiche, perché la stratificazione è la realtà stessa della storia e, quindi, va rispettata.La soluzione di uno dei problemi del centro storico è il mantenimento delle altezze, in riferimento dei volumi presenti, il mantenimento verticale e quello orizzontale, il quale è esso stesso tessuto antico, opera di storia e di arte e che, quindi va tutelato come percorso. E’ chiaro che, ogni soluzione e di per se soggettiva, e non è mai detto che si debba sempre conservare le case; si possono creare anche spazi liberi, utilizzandoli come zone verdi sempre recintati, senza procedere allo sbaraccamento o disfacimento orizzontale. Per tal via, non solo si mantiene il carattere del centro storico, ma si realizzano le condizioni per ottenere una migliore insolazione ed una viabilità, capace di riportare il centro storico nei suoi aspetti ideali di spazi e di rapporti spaziali; cosa desiderabile al di sopra di tutto.Purtroppo, possiamo registrare, per quello che riguarda l’intervento dei poteri pubblici nella tutela ambientale e monumentale, in base ai criteri vigenti che l’Italia ha accettato – avendo sottoscritto la carta di Venezia nel ’64, insieme con un’altra sessantina di nazioni, tutti paesi civili – che i suddetti criteri non sono operanti, per niente. Nel campo del restauro abbiamo fatto solo regresso, non progresso. Perché quelle speculazioni distruttici, che prima si esercitavano in una forma artigianale, oggi sono realizzate invece massicciamente, attraverso grossi piani. Mi chiedo e vi chiedo, esiste nei nostri comuni questa grande richiesta di suoli, di acquisti, etc.? Non c’è. Credo che la via sia riqualificare, invece che costruire. Infatti, gran parte della moderna edilizia anche nazionale è frutto della speculazione, favorita dal potere politico, che ha massacrato il prezioso patrimonio culturale italiano, certamente più ricco e differenziato che ci sia al mondo.Concludo dicendo che la mia non è una critica e neanche una lezione, ma io parlando realizzo più profondamente me stesso, comunico con l’altra parte di me. Ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggere questi miei pensieri. E’ una cosa meravigliosa, parlare di architettura, di arte, in quanto molto spesso non si parla delle nostre città di queste cose, tanti forse vorrebbero, avrebbero da raccontare e non trovano il modo. A chi lo dicono? Al muro? Agli amici tutt’al più; se pure esiste un colloquio su questi argomenti.

Giuseppe Briguglio
Architetto


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FOGGIA - RESTAURO E VALORIZZAZIONE DEL PALAZZO MONGELLI - DE PAOLA

Nulla si edifica sulla pietra, tutto sulla sabbia, ma noi dobbiamo edificare come se la sabbia fosse pietra. (J.L. Borges, Frammenti di un angelo apocrifo, in Elogio dell’ombra, Torino 1972, pag. 113 ).
ANALISI DEL SITO - ANALISI STORICA
INQUADRAMENTO TERRITORIALE DELLA CITTÀ DI FOGGIA

La provincia di Foggia, conosciuta anche come Dàunia o Capitanata, è la più ampia della Puglia, oltre un terzo di tutta la superficie regionale. Il territorio, comprendente l’antica Capitanata, è posto all’estremità settentrionale della regione ed in esso si distinguono tre diverse zone morfologiche: il Sub-appennino Pugliese, il Tavoliere ed il Gargano(1).
La capitanata è costituita da una grande pianura (il tavoliere), dal massiccio promontorio montuoso del Gargano e dalla zona montano-collinare del Sub-appennino Dàuno. La zona montagnosa della Daunia si erge fino ai 1152 metri con il Monte Cornacchia, la massima elevazione della Puglia. Fra le ultime propaggini appenniniche, il pedemonte garganico ed il golfo di
Manfredonia, si estende piatto il Tavoliere (Kmq. 3.000), che non supera i 100 metri di altitudine e declina dall’Appennino verso l’Adriatico accompagnato da corsi d’acqua che, per l’evaporazione estiva e la mancanza di pioggia, si esauriscono prima di arrivare al mare, ad eccezione dell’Ofanto e del Carapelle. Grazie agli impianti di irrigazione alimentati da pozzi il suolo è verdeggiante di colture orticole ed arboree e di vigneti, mentre gli immensi campi di grano forniscono gran parte del frumento nazionale.

L’IMMAGINE DELLA CITTÀ NEL TEMPO La storia di una città non può essere ricondotta a pochi fatti notevoli, a una galleria di edifici più o meno illustri; essa riguarda tutta la realtà costruita. Oltre che alla città noi possiamo guardare anche al territorio come a una costruzione, un enorme deposito di fatiche umane, una patria artificiale dell’uomo. In tal caso ci rendiamo conto di come il dato urbano e quello rurale corrispondono a due momenti di un medesimo intervento regolatore e costruttivo.
Poniamo così le basi per un effettivo superamento, dal punto di vista dell’architettura, della contraddizione fra città e campagna insita nella città moderna o, meglio, per una “predisposizione” dell’architettura a tale superamento.
Credo che sia possibile leggere questo scritto anche come un’intenzione di città. Ciò non perché in esso il dato filologico sia alterato, ma perché l’analisi si pone evidenti intenti operativi: la conoscenza della città è vista nella dimensione del progetto. Questa tendenziosità dell’analisi significa in primo luogo porsi il problema della costruzione di una città analoga, servirsi di una serie di diversi elementi urbani e del territorio come cardini per la nuova città. In questo senso deve essere visto il riferimento alla città storica e la meditazione sui suoi elementi di crescita tradizionali.
SCOMPOSIZIONE DELLA CITTÀ NELLE SUE SEQUENZE ESSENZIALI
La costruzione nel tempo della città di Foggia è caratterizzata dal fatto di essere avvenuta per addizione successiva di parti; il fuso irregolare del centro antico, la raggiera dei quartieri settecenteschi, la scacchiera ottocentesca e l’agglomerato informe dell’espansione moderna. Queste parti segnano la cronologia delle varie fasi di accrescimento e ne cristallizzano le caratteristiche storiche, fisiche, sociali, economiche. Pur non esaurendo tutta la complessità urbana ciascuna parte ha una struttura analoga a quella di una città e riflette al suo interno i modi stessi con cui essa si costruisce.
Tipologia edilizia e morfologia urbana, strada e isolato, monumento e residenza, sfera pubblica e sfera privata ricevono ogni volta la loro specifica accezione, dando luogo a sistemi formali diversi facilmente distinguibili. La riconoscibilità di ogni parte è resa
ancora più evidente dall’assenza di raccordi fra i diversi tessuti urbani, che vengono in tal modo a trovarsi topograficamente giustapposti fra loro.
L’intera forma urbana è percossa da linee di vera e propria tensione, ove il bordo della città precedente si incontra con quello della nuova e la continuità dell’espansione è contraddetta dalla perentorietà delle modifiche intervenute. Nonostante i terremoti, le guerre, i bombardamenti e la speculazione edilizia, l’attitudine di questa città a liberarsi delle testimonianze del proprio passato quasi come di un peso gravoso, nonostante ciò abbia profondamente alterato l’originaria “imago urbis”, l’impianto delle parti urbane e permane come segno incisivo ed indelebile.
Nella suddivisione della città per parti è implicita la seguente osservazione: la città per parti è una creazione che possa essere ricondotta a una sola idea di base. Costruita in tempi diversi, campo di applicazione di forze e rapporti di classe differenti, la città non può essere che espressione di questi contrasti. Poiché ogni situazione storica non solo aggiunge nuovi pezzi di città preesistente ma interviene anche su ciò che già esiste, dandogli o togliendogli significato, o sminuendo quello originario, possiamo dire che da ogni nuovo assetto che la città si dà corrisponde una nuova gerarchia di valori per le parti che la costituiscono. Risulta pure evidente che la scala di valori sia, in definitiva, quella stabilita dalla classe dominante.

I PRINCIPI DELLA STRUTTURA EDILIZIA DELLA CITTÀ .
LA CORTE - LA SCHIERA.
E’ interessante esaminare la particolare tecnica con cui la veduta cinquecentesca rappresenta la struttura edilizia della città. Ciò avviene componendo filari di case a schiera con edifici a corte e tutta la composizione dà l’idea di un continuo relazionarsi di queste due forme tipologiche. La rappresentazione , pur nella sua schematicità, per ricondurre sinteticamente la città’ ai suoi elementi essenziali, ci fornisce quasi l’archetipo, lo schema iniziale dell’attuale conformazione del centro antico. Questo, liberato dalla complessità di una secolare stratificazione, viene così ricondotto a pochi principi costitutivi. Tali principi si riassumono in maniera quasi emblematica nell’antico Palazzo della Dogana : una corte edificata al suo interno con più schiere.
L’edificio, oltre ad enunciare gli elementi fondamentali della composizione (la corte e la schiera), pare esibire una legge compositiva che è generale e che ritroviamo nella cinta delle mura che circondano la città e nella disposizione che le schiere assumono nella definizione dei rioni. La tipologia dell’edificio a corte e della casa a schiera è molto più evidente e paradigmatica nel centro storico. Infatti, fra le due tipologie si crea una serie di relazioni e compenetrazioni nell’ambito di un impianto urbano prefissato nei suoi elementi principali (le mura, l’asse, la piazza), nei quartieri settecenteschi le due specie tipologiche si scindono e si gerarchizzano sulla trama viaria dei tratturi.
L’edificio a corte -dinanzi al quale si apre una piazza, un giardino , si incrociano più strade- acquista valore qualitativo, dignità di monumento; la casa a schiera resta l’unico elemento costitutivo della trama residenziale. Nello sviluppo settecentesco della città i nuovi borghi che si vengono a formare all’esterno del centro antico svolgono con straordinaria omogeneità tipologica il tema della casa monofamiliare direttamente disimpegnata dalla strada. La cellula abitativa fondamentale è costituita da un solo vano di 6 x 6 m circa , realizzato con muratura e copertura a volta.
RECUPERO E VALORIZZAZIONE DEL PALAZZO
MONGELLI - DE PAOLA ( GIA’ PALAZZO F. DE BENEDICTIS)

Negli ultimi anni, grazie ad un costante risvegliarsi dell'interesse verso il recupero del costruito, si è andata formando una “cultura della conser­vazione”. Questa, sostenendo l'esigenza di affron­tare con la massima consapevolezza ogni intervento, impone uno sforzo di definizione dell'ambito cultu­rale specifico e al, tempo stesso, complesso, attra­verso lo studio dei materiale delle tecniche costruttive impiegate, l'individuazione del modello statico, il rilievo dei dissesti e la ricerca delle sue cause. Oggi si restaura perché si è primaria­mente riconosciuto ad una serie di oggetti un valore particolare, artistico, documentario, estetico e storico. E questo proprio perché questi oggetti vengo­no considerati dalla cultura attuale come testimo­nianze materiali aventi valore di civiltà. Ma, per poter riconoscere "il bene culturale" come oggetto da conservare, è necessaria un'accurata indagine filologica che consenta di formulare un giudizio di valore. Per questo motivo, l'indagine storica, diventa dunque preliminare per qualsiasi intervento di restauro e risulta, inoltre, utile anche ai fini di un corretto intervento di consolidamento. L'indagine filologica, come già accen­nato, ci fornisce informazioni sui materiali usati, sulle tecniche costruttive adottate e ci indica anche le varie trasformazioni e le successive stratificazio­ni subite dall'edificio. Oggi quindi il recupero di un edificio come il Palazzo Mongelli - De Paola in Foggia, richiede la conoscenza di molteplici aspetti relativi non solo all'organismo edilizio, ma anche al contesto urbano nel quale il complesso si inserisce. L'individuazione di tutte le varie trasforma­zioni subite nel tempo, sia dal contesto urbano che dall'organismo edilizio, è una condizione necessaria per poter intervenire correttamente nel recupero dell'edificio antico; proprio perché quest'operazione consentirà di scegliere, tra tutte le soluzioni progettuali, quelle che permetteranno di adeguare l'organismo edilizio alle esigenze moderne. Perciò abbiamo ricostruito l'evoluzione storico-morfologica della fabbrica in esame e del contesto urbano in cui essa si inserisce l'antico palazzo de Benedictis oggi Mongelli - De Paola.
DESCRIZIONE DEI BENI IMMOBILI E MOBILI SOGGETTI A VINCOLO AI SENSI DELLE LEGGI DEL 1 E 29 GIUGNO DEL 1939 N. 1089 E N. 1497 CON D.M. DEL 21.09.1984.

La legge 01.06.1939 n. 1089, modificata ed integrata con la legge 21.12.1961 n. 1551 e con la legge 14.03.1968 n. 292, sottopone a tutela le cose, immobili e mobili, che siano di interesse storico, artistico, archeologico, etnografico. Invece con la legge 21 giugno 1939 n. 1497 e il successivo regolamento approvato con R.D. del 03.06.1940 n. 1357, vengono introdotte importanti norme per la tutela delle bellezze naturali, che ancora oggi regolano il settore dei Beni Ambientali. Di ispirazione estetica e con forti connotati, la legge pone a fondamento della sua articolazione il concetto di "bello di natura", bello riconosciuto non attraverso una valutazione di tipo individuale, ma con il consenso e riscontro del gusto estetico della collettività (25). La inadeguatezza delle norme di tutele del nostro patrimonio storico artistico ed una serie di procedure accelerate per fare fronte ai più urgenti bisogni determinatesi a seguito del terremoto del novembre del 1980, in Campania hanno creato non poca confusione e danni. Proprio per far fronte al progressivo gravissimo degrado del nostro patrimonio storico-artistico- ambientale, lo Stato, intorno alla metà degli anni 80, interviene con provvedimenti urgenti, disponendo l'obbligo per le Regioni di dotarsi di Piani Territoriali Paesistici con il D. 27.06.1985 n. 312 convertito nella legge del 08.08.1985 (Legge Galasso). I Beni immobili e mobili del Comune di Foggia ed in particolare nel centro storico, che per il loro particolare valore artistico-storico-archeologico- etnografico sono stati sottopo­sti a vincolo, ai sensi delle leggi del 1939.


RILIEVO ARCHITETTONICO - RILIEVO METRICO
IL RILIEVO E LA RAPPRESENTAZIONE DEGLI EDIFICI ANTICHI
Nell'enciclopedia il "Costruttore" - Trattato pratico delle costruzioni civili, industriali e pubbliche edito dall'antica Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi - alla voce " Restauro", si osserva che "...nell'antichità quando un edificio era sciupato dal tempo o da altre cause, per cui occorressero risarcimenti di non poco conto, lo si abbandonava alla rovina o lo si demoliva e se ne costruiva un altro senza punto curarsi che corrispondesse al primitivo...". Così, per moltissimo tempo, la problematica del Restauro è stata affrontata facendo riferimento soltanto a parziali e vaghe notizie, cosiddette storiche, ed a parziali rilievi metrici e fotografici senza raggiungere un'adeguata conoscenza della fabbrica su cui intervenire.
Nella cultura contemporanea si è ormai affermata la convinzione che la problematica progettuale del recupero degli edifici antichi debba fondarsi anche sulla conoscenza storica. Il rilievo della struttura materica e della configurazione spaziale deve portare, in particolare, alla conoscenza di molteplici aspetti dell'edificio, quali i dati metrici dimensionali, i dati relativi ai materiali costruttivi, i dati relativi allo stato di conservazione e di degrado degli elementi di fabbrica, i dati relativi alla qualità storica ed architettonica degli elementi costruttivi, i dati relativi alla specialità ed alla individualità dei singoli elementi costruttivi dell'organismo edilizio.
Il rilievo si deve quindi esplicare, secondo un programma che si articola nei due momenti distinti, ma strettamente correlati, dalla rivelazione e della comunicazione dei dati. Al momento del rilievo dei dati, essenzialmente analitico, si accompagna quindi il momento della traduzione in immagini grafiche dei dati raccolti. La lettura degli elaborati dovrà consentire la comprensione e la conoscenza non solo dello spazio fisico dell'edificio antico, ma anche dello spazio funzionale e formale dell'edificio stesso. In base a questi principi il rilievo è stato eseguito direttamente sull'oggetto di studio. Nel rilievo diretto, sono risultati di grande aiuto l'uso di alcuni strumenti operativi: la rollina metrica, la stadia, la squadra del muratore, il filo a piombo, il regolo. L'intero programma di rilievo diretto si è esplicato attraverso più fasi operative che hanno richiesto inizialmente la stesura di uno o più schizzi di rilievo relativi all'organizzazione planimetrica e spaziale dell'edificio. Sono seguiti poi, la misurazione ripetuta eventualmente più volte, per ridurre i margini di errore, delle parti costituenti l'edificio oggetto di rilievo ; la registrazione sugli schizzi di rilievo delle misure effettuate; il rilievo della natura materica degli elementi costruttivi ed il loro degrado, il rilievo mediante riprese fotografiche, delle caratteristiche cromatiche dell'edificio e dell'ambiente circostante.
Giuseppe Briguglio
Architetto
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